Spazio Atelier

MUSIANI MONICA

Nata a Piacenza nel 1972. Ha conseguito nel 2000 il diploma del corso di pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna.

Recensioni e testi critici
MONICA MUSIANI, MAGIE DEL PAESAGGIO del Prof. Giorgio Celli

Il paesaggio, in pittura, non è un protagonista remoto: il mondo classico era poco interessato a inserire alberi, fiori, e montagne nelle sue rappresentazioni, affreschi o mosaici che fossero. Il paesaggio era solo un accessorio, una sobria scenografia per il gran teatro degli imperatori e degli eroi del mito. Nel medioevo, in quelle grandi enciclopedie di pietra che erano le cattedrali, sui capitelli cominciano a comparire dei fiori, dei rami con le foglie, degli animali reali o fantastici, in parole povere la natura esce dall’anonimato per acquistare una sua pregnanza. Però, è stato dal Rinascimento in poi, che il paesaggio si è conquistato il ruolo di elemento integrante della vicenda narrata nel quadro, e sarà sufficiente consultare il celebre libro Nature in Italian (London, 1912), scritto a più mani, per dissipare ogni dubbio al riguardo. In ben quarantanove illustrazioni del libro, in opere dei pittori più eminenti, da Leonardo a Tiziano, da Simone Martini a Giorgione, il paesaggio cessa di essere un orpello decorativo, ma prende vita, per mutarsi, con lessico moderno, in paesaggio ecologico, in forza della sua stretta integrazione con gli uomini e gli animali che popolano la vicenda. Tuttavia, anche in questi casi, il paesaggio, benché attore e non più quinta scenografica, resta sempre al servizio del racconto visivo, senza acquistare una sua piena autonomia estetica. Sarà più tardi, con i grandi paesaggisti del Settecento, e più tardi ancora con i Constable e i Corot, che il paesaggio comincia a esprimere da solo l’emozione dell‘artista, un’emozione che filtra attraverso le nuvole, le colline o le altitudini delle montagne più impervie. Il pittore si muta in un occhio solitario che si affaccia su di un mondo dove la natura regna sovrana, come agli inizi della creazione. In tal senso, i quadri che Monica Musiani presenta in questo atelier, sembrano ispirati dalla stessa volontà di mettersi in disparte, e di guardare il mondo attraverso il buco della serratura della propria sensibilità, e dei propri sogni. Le sue paludi, i suoi mari in tempesta, i suoi cavalli che sembrano scalpitare sulla linea dell’orizzonte come dei pegasi senza ali, i suoi fantasmi di uomini, portati al limite dell’invisibilità, costituiscono una sorta di geografia dell’anima, la mappa di un mondo parallelo che sta tra la realtà e la fantasia. I suoi paesaggi rappresentano una terra incognita, intravista attraverso una lente onirica, i suoi colori, poi, che la pittrice adopera con grande maestria, sono tutti virati su di una sorta di grigia opalescenza, con pennellate che evocano miraggi e che danno un senso di acuta nostalgia per tutte quelle forme portate ai confini dell’invisibilità e che si percepiscono come in esilio dal mondo reale. Per chi cercasse una definizione, ancorché sommaria, del lavoro pittorico di Monica Musiani, potrebbe rifarsi a un impressionismo rivisitato dal punto di vista dell’informale e, perfino, in forza dell’incipiente naufragio delle forme, che suggeriscono percezioni multiple, ci sembra lecito chiamare in causa una certa arte concettuale o, più in generale, la nozione di opera aperta. Una vis metamorfica investe questi paesaggi, dove gli alberi diventano rocce, le rocce file di canne di palude, dei coaguli di colore sono forse barche di pescatori e non si sa se quell’eterno crepuscolo preluda la fine o il principio del giorno.
Un desiderio di perdersi nella natura fa di questi quadri una favola visiva dell’Eden, un’elegia cantata attraverso i colori, per celebrare un viaggio rappresentato come un sogno ad occhi aperti.

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